Dalle attività di monitoraggio della salute degli astronauti possono derivare positive ricadute per la salute della collettività. Ne è un esempio uno studio relativo alla diagnosi precoce di malattie neurodegenerative condotto nell’ambito di un accordo di collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Italiana e l’Università Federico II di Napoli – Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale.
L’accordo, dedicato alle attività di "Sviluppo di tecnologie innovative relative alla Salute nello spazio", sta fornendo importanti risultati di ricerca innovativa che sono stati pubblicati su Biosensors and Bioelectronics, un’importante rivista di settore. Il paper illustra la possibilità di rilevare biomarcatori precoci di insorgenza di malattie neurodegenerative con un semplice test delle urine. Questi studi aprono la strada per fissare nuovi standard di screening delle malattie neurodegenerative nella popolazione.
“È da notare che l'applicazione della tecnica definita nell’ambito dell’accordo non è limitata alla sola neurodegenerazione, ma potrà estendersi anche al rilevamento di altri tipi di biomarcatori presenti nei fluidi biologici in basse quantità – spiegano Francesca Ferranti e Silvia Mari, della Direzione Scienza e Ricerca dell’ASI – Ed è ampiamente documentato che le malattie neurodegenerative possono essere trattate efficacemente solo se diagnosticate precocemente. In questo contesto – proseguono le due esperte - i cambiamenti strutturali di alcune biomolecole come la Tau, sembrano giocare un ruolo chiave nel meccanismo di neurodegenerazione diventando obiettivi idonei per una diagnosi precoce”.
“In questo test mostriamo per la prima volta il rilevamento dei preaggregati della proteina Tau nelle urine artificiali a livello femto-molare, attraverso l'effetto di concentrazione della tecnica piroelettroidrodinamica del getto (p-jet) – spiega Pier Luca Maffettone, responsabile del gruppo di ricerca dell’Università Federico II - Abbiamo dimostrato un'eccellente curva di calibrazione lineare con un limite di rilevamento di 130 fM. Inoltre, per la prima volta riveliamo la stabilità della struttura della proteina dopo l'applicazione del p-jet attraverso un'approfondita indagine spettroscopica”.
“Nonostante ci si possa avvalere di un ampio spettro di tecniche standardizzate per studiare gli oligomeri intermedi, le principali neurotossine per la progressione delle patologie neurodegenerative, esse sono costose, laboriose, nonché poco sensibili – commenta Concetta di Natale, ricercatrice dell’Università di Napoli - Il nostro p-jet, invece, si è dimostrato molto sensibile, versatile, ed in grado di utilizzare volumi di campione estremamente ridotti. Potrebbe senz’altro rappresentare una soluzione efficace ed innovativa non solo per il rilevamento e il monitoraggio di marcatori proteici ma anche di contaminanti alimentari o inquinanti ambientali”.
I risultati di questo lavoro si basano su una tecnologia completamente nuova. “In parole semplici, usiamo un campo elettrico localizzato a livello microscopico per accumulare minuscole goccioline di fluido corporeo per incrementare in modo significativo il livello di segnale emesso dalle molecole di interesse”, commenta Simonetta Grilli che collabora al progetto insieme ad altri ricercatori dell’Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti del CNR della sede di Pozzuoli.
“Le attività di ricerca che, come in questo caso, partono dall’esigenza di monitorare la salute degli astronauti, intervenendo tempestivamente con una diagnosi altamente sensibile – dichiara Tanya Scalia, Responsabile Ufficio Trasferimento Tecnologico dell’ASI - possono avere significative ricadute in ambito terrestre, portando a progressi rilevanti nel migliorare la cura dei pazienti, l’accuratezza diagnostica e consentendo nuove modalità di trattamento. Questa cross-fertilisation di idee e tecnologie tra campi apparentemente disparati evidenzia l’importanza della collaborazione interdisciplinare nel guidare l’innovazione”.