Grazie alle osservazioni del telescopio orbitante Fermi della Nasa e ad una tecnica di analisi che combina segnali troppo deboli per essere rilevati singolarmente, un team internazionale di ricercatrici e ricercatori ha identificato per la prima volta le emissioni di raggi gamma in alcune galassie vicine alla nostra prodotte dai cosiddetti Ufo. Gli Ufo (acronimo di Ultra Fast Outflows, o espulsioni ultra veloci) sono veri e propri venti di gas e particelle emessi ad altissime velocità dai buchi neri supermassicci che si trovano nelle regioni centrali delle galassie. Gli scienziati ritengono che gli Ufo abbiano un ruolo decisivo nel regolare la crescita del buco nero stesso e della sua galassia ospite: queste nuove indagini permetteranno di comprendere meglio anche la storia della nostra Via Lattea.
Lo studio è stato realizzato grazie ai dati raccolti da Lat (Large Area Telescope), strumento a bordo di Fermi progettato e realizzato con un contributo decisivo dell’Italia, grazie all’Agenzia Spaziale Italiana, all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e all’Istituto Nazionale di Astrofisica. I risultati di questa indagine, guidata da Chris Karwin, del Dipartimento di Fisica e Astronomia della Clemson University negli Stati Uniti e a cui hanno partecipato anche ricercatrici e ricercatori italiani, tra cui alcuni dell’Inaf, dell’Infn e dell’Asi, sono stati pubblicati oggi in un articolo sulla rivista The Astrophysical Journal.
«Anche se questi venti sono difficili da rilevare, si pensa che giochino un ruolo significativo nel modo in cui un buco nero massiccio e la galassia ospite stessa interagiscono e accrescono – dice Stefano Marchesi, ricercatore Inaf a Bologna coinvolto nello studio – le nostre osservazioni dei raggi gamma associati da queste espulsioni mostrano come i buchi neri supermassicci possono trasferire una grande quantità di energia alla loro galassia ospite. Gli Ufo si comportano come un pistone e accelerano in modo molto efficiente le particelle cariche, note come raggi cosmici, fino a quasi alla velocità della luce».
«In particolare se confrontato con l’energia trasferita ai raggi gamma da una esplosione di supernova nella Via Lattea – afferma Elisabetta Cavazzuti, responsabile del programma Fermi per l’Agenzia Spaziale Italiana – questo studio mostra come i venti dei nuclei galattici attivi, se adeguatamente sostenuti per alcuni milioni di anni, possono fornire l’energia a una grande frazione dei raggi cosmici dentro la galassia, fornendo un tassello in più allo studio di queste particelle»
Ogni galassia ha un buco nero supermassiccio al suo centro. Alcuni sono quiescenti, altri, chiamati nuclei galattici attivi, sono attivi, il che significa che attirano e “ingoiano” la materia circostante attraverso un processo chiamato accrescimento. Gli Ufo sono uno dei prodotti dell’attività dei buchi neri e nel loro moto di propagazione attraverso le galassie ospiti inibiscono gradualmente la formazione di nuove stelle.
«Poiché i raggi gamma sono prodotti da raggi cosmici accelerati nell’onda d’urto generata dal vento in espansione”, spiega Sara Cutini, ricercatrice Infn della Sezione di Perugia, “le osservazioni di Fermi indicano che gli Ufo presenti nella nostra galassia accelerano particelle cariche fino alle energie elevatissime del Peta-electronvolt, alle quali si collocava tradizionalmente la transizione spettrale dovuta a sorgenti di raggi cosmici collocate fuori della nostra galassia»
I risultati dello studio appena pubblicato forniranno anche un prezioso aiuto agli scienziati che studiano la storia della nostra galassia, la Via Lattea e di Sagittarius A*, il buco nero situato nelle sue regioni centrali, che possiede una massa stimata pari a quattro milioni di volte quella del Sole. Al di sopra e al di sotto del disco della Via Lattea si estendono le bolle di Fermi, enormi strutture sferoidali di gas caldo che hanno origine nel centro galattico. Sono chiamate così perché sono state scoperte nel 2010 grazie alle osservazioni realizzate proprio dal satellite Fermi.
L’articolo “Gamma-rays from fast black-hole winds” della collaborazione Fermi è stato pubblicato online sul sito della rivista The Astrophysical Journal
Credit foto: STScI