Radar Marsis: nuova scoperta di un complesso sistema di laghi d'acqua salata sotto la calotta marziana del polo sud

28 Settembre 2020

A due anni dalla scoperta di un lago sotto la calotta polare meridionale del pianeta Marte, pubblicata nel 2018 nella prestigiosa rivista scientifica Science da un gruppo di ricercatori e tecnici italiani, un team formato da ricercatori dell'Università Roma Tre, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IREA, Napoli), dell'Università Jacobs (Brema, Germania), della University of Southern Queensland (Centre for Astrophysics: Toowoomba, Australia) e dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha trovato prova ulteriore dell'esistenza di laghi di acqua salata intrappolati sotto il ghiaccio del Polo Sud marziano.

La nuova scoperta conferma quello che un team guidato da Roberto Orosei (INAF), con Elena Pettinelli (Università Roma Tre) ed Enrico Flamini (ASI - Agenzia Spaziale Italiana), aveva annunciato al mondo nel 2018, ovvero che il radar sottosuperficiale MARSIS, uno degli strumenti a bordo della sonda dell'ESA Mars Express, aveva rilevato un'area di forte riflettività a circa 1,5 km sotto i depositi stratificati di ghiaccio e polvere della calotta polare meridionale di Marte. Secondo Orosei e colleghi, l’elevata intensità  del segnale riflesso proveniente da un’area di circa 20 km di diametro, avrebbe potuto essere spiegata dalla presenza di un lago d'acqua il cui congelamento sarebbe stato probabilmente impedito da una alta concentrazione di sali. Da allora molto lavoro è stato fatto, sia da parte di membri del gruppo originario che da parte di team internazionali, per comprendere ulteriormente le condizioni geologiche in grado di favorire la presenza di laghi sotto la spessa coltre di ghiaccio di questa zona polare.

Oggi un nuovo articolo, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Astronomy da un gruppo multidisciplinare comprendente tredici ricercatori tra fisici, geologi ed ingegneri, spiega come l’acquisizione ed analisi di nuovi dati radar abbia rivelato risultati inaspettati.

"Non solo abbiamo confermato la posizione, l'estensione e l’intensità del riflettore individuato nel nostro studio del 2018" dice Elena Pettinelli, che ha guidato il team insieme a Sebastian Lauro "ma abbiamo anche trovato tre nuove aree altamente riflettenti".

"Abbiamo preso in prestito una metodologia comunemente utilizzata con i radar sottosuperficiali  terrestri per rilevare la presenza di laghi subglaciali in Antartide, Canada e Groenlandia, e abbiamo applicato tale metodologia all’analisi di dati MARSIS vecchi e nuovi. L'interpretazione che spiega meglio tutti i dati disponibili è che le riflessioni ad alta intensità sono causate da estese pozze di acqua liquida", spiega Sebastian Lauro dell’Università di Roma Tre.

"Il lago principale è circondato da altri laghetti, ma a causa delle caratteristiche tecniche del radar e della sua distanza dalla superficie marziana, non possiamo dire se questi sono interconnessi", sottolinea Elena Pettinelli.

"Qualsiasi processo di formazione e persistenza di acqua sotto il ghiaccio delle calotte polari marziane richiede che il liquido sia ipersalino" aggiunge la coautrice Graziella Caprarelli, Ricercatrice Associata presso il Centro di Astrofisica della University of Southern Queensland, che non aveva partecipato al lavoro pubblicato nel 2018. "Esperimenti di laboratorio che studiano la stabilità di soluzioni acquose ipersaline  (brine) confermano in modo convincente che queste possono persistere per periodi di tempo geologicamente rilevanti anche a temperature come quelle che troviamo nelle regioni polari marziane, che sono notevolmente al di sotto della temperatura di congelamento dell’acqua".

Enrico Flamini, l’attuale Presidente della Scuola Internazionale di Ricerche per le Scienze Planetarie (IRSPS: International Research School of Planetary Sciences) presso l'Università di Chieti-Pescara, già Responsabile Scientifico di ASI, commenta così questa scoperta: "Dire che questi nuovi risultati mi rendono felice non basta. L'unica vera domanda ancora aperta dopo il nostro primo lavoro era: è questa l'unica prova di acqua liquida sotto il ghiaccio? All'epoca non avevamo dati per dire di più, ora questa nuova ricerca dimostra che la scoperta del 2018 è stata solo la prima prova di un sistema molto più ampio di corpi idrici liquidi nel sottosuolo marziano. È esattamente quello che avrei sperato: un grande risultato, davvero!”

Roberto Orosei, Principal Investigator dell’esperimento MARSIS, e uno dei coautori dell’articolo, commenta: “Mentre l’esistenza di un singolo lago subglaciale poteva essere attribuita a condizioni eccezionali come la presenza di un vulcano sotto la coltre di ghiaccio, la scoperta di un intero sistema di laghi implica che il loro processo di formazione sia relativamente semplice e comune, e che questi laghi probabilmente siano esistiti per gran parte della storia di Marte. Per questo potrebbero conservare ancora oggi le tracce di eventuali forme di vita che abbiano potuto evolversi quando Marte aveva un’atmosfera densa, un clima più mite e la presenza di acqua liquida in superficie, similmente alla Terra dei primordi.”

Per Angelo Olivieri, attuale responsabile per L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) del radar sottosuperficiale MARSIS, questa ulteriore scoperta dà ragione degli sforzi compiuti da ASI negli scorsi anni in questo settore strategico della ricerca su Marte, e dimostra come l’Italia abbia le carte in regola per consolidare la propria leadership nella realizzazione e nell’analisi di dati da questo tipo di radar.

Con lo studio pubblicato su Nature Astronomy, il team conferma che le spesse coltri di ghiaccio marziane, lungi dall'essere desolate ed uniformi, devono essere viste come formazioni geologiche stratigraficamente e fisicamente complesse, e per questo motivo da esplorare in dettaglio. Essendo dimostrato che le brine possono sostenere la vita microbica in condizioni estreme, a conclusione dell’articolo gli autori raccomandano di intensificare l’esplorazione delle regioni polari di Marte allo scopo di trovare altri laghi subglaciali, e di determinare la loro composizione ed il loro potenziale astrobiologico.

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