Sono trascorsi esattamente 11 anni da quando per la prima volta un lander realizzato dall’Agenzia Spaziale Europea con importanti contributi italiani, ha toccato il suolo polveroso e accidentato di una cometa. La missione era chiamata Rosetta e il suo lander era stato battezzato con il nome di Philae.
Il nostro Paese ha collaborato sia sull’orbiter che sul lander. Nel primo hanno viaggiato: VIRTIS (Visual InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer) dell’Istituto Nazionale di Astrofisica; GIADA (Grain Impact Analyser and Dust Accumulator) dell’Università "Parthenope" di Napoli; WAC di OSIRIS (Wide Angle Camera, dell’Università di Padova). A bordo del lander, poi, erano italiani il sistema di acquisizione e distribuzione dei campioni (SD2), realizzato da Galileo Avionica e dal Politecnico di Milano sotto la guida di Amalia Ercole Finzi, prima donna italiana laureata in ingegneria aeronautica, e il sottosistema dei pannelli solari sempre su progetto del Politecnico di Milano.
L’obiettivo di Rosetta inizialmente era la cometa 46P/Wirtanen, ma un problema con il lanciatore ed il conseguente ritardo aveva fatto spostare lo sguardo verso un’altra cometa: la 67P/Churyumov-Gerasimenko. Una missione rocambolesca che ha visto un inseguimento durato circa dieci anni, durante i quali la sonda per ben 32 mesi era stata ibernata per risparmiare energia, con il rischio di un mancato risveglio. Tutto fortunatamente andò bene e il 12 novembre del 2014 Philae si sganciò per tentare di atterrare sulla cometa ma la debole gravità e il mancato funzionamento dei retrorazzi che servivano ad ancorare il piccolo lander sulla superficie lo fecero rimbalzare per tre volte, sino a posarsi integro ma su di un fianco. Fu comunque un successo per i dati raccolti, che sono ancora oggi allo studio di molti ricercatori in tutto il mondo.




